INDUSTRIA 5.0 – Una tecnologia dal “tocco umano” per vincere pandemie e crisi

Usciti malconci dalla crisi economica globale del 2008, i Paesi più industrializzati si sono orientati con decisione verso una svolta politico-tecnologica che ha preso il nome di Industria 4.0 che oggi, a 11 anni dalla sua introduzione formale, è in piena implementazione. L’industria ha visto evolversi e accelerare tecnologie avanzate come Cloud Computing, Internet of Things, Intelligenza Artificiale, Robotica, Big Data, Digital Twin, Realtà Aumentata. Il punto è che questa trasformazione non sta influenzando solo il mondo industriale, ma anche la società e le relazioni umane. Ed è da quest’ultima constatazione che muove il concetto di Industria 5.0.

Come nasce Industria 5.0 e perché se ne parla dal momento che Industria 4.0 non è ancora del tutto implementata?

In effetti questa è un’obiezione piuttosto comune. Non dobbiamo guardare a Industria 5.0 come a un’altra rivoluzione industriale in senso stretto, piuttosto a una correzione di rotta, un tentativo di superare i limiti di Industria 4.0. Il tema di fondo è quello di mettere l’individuo, l’ambiente e la società nel suo insieme al centro della nuova trasformazione digitale dentro e fuori le fabbriche. Del resto questa esigenza nasce da considerazioni pratiche. Come Industria 4.0 è stata una risposta dell’industria europea alla crisi globale del 2008, un piano politico-tecnologico per ammodernare le fabbriche, così il modello Industria 5.0 è alimentato dalla necessità di rimettere l’uomo al centro, di renderlo protagonista, non subalterno alla tecnologia né impreparato a gestirla. Con motivazioni diverse se ne sono accorti e hanno iniziato a parlarne le istituzioni giapponesi a partire dal 2016 con il concetto di Società 5.0. A metà degli anni ’10 diversi studiosi dell’Europa Nord Orientale sono stati i primi a parlare espressamente di Industria 5.0 mettendo l’enfasi sui temi green e sull’economia circolare. Negli Stati Uniti imprenditori influenti come Elon Musk di Tesla e Mark Benioff di Salesforce hanno evocato una quinta rivoluzione industriale per far fronte all’eccessiva automazione e digitalizzazione applicate senza una guida etica e un significato sociale. Nel 2020 l’Unione europea con il documento “Industry 5.0 – Towards a sustainable, human-centric and resilient European industry” ha offerto un indirizzo più chiaro a questo paradigma.

Il passaggio alla Società 5.0 è dunque fondamentale.

Mentre l’Europa e altri Paesi industrializzati hanno puntato sul modello Industria 4.0 soprattutto dal punto di vista tecnologico e industriale, il Giappone ha approfondito gli aspetti socioeconomici, calando il concetto di Società 5.0 in una scala di evoluzione naturale che parte dall’epoca neolitica (Società 1.0) fino ai giorni nostri. Fattori come l’elevato debito pubblico, la scarsa natalità, la popolazione sempre più anziana, l’inquinamento crescente, la questione energetica, la spesa pubblica poco efficiente, la bassa crescita economica, l’aumento delle diseguaglianze e la bassa partecipazione delle donne al mercato del lavoro (stiamo parlando del Giappone, ma non solo come è evidente) hanno indotto a rovesciare i termini della questione. Perché stiamo innovando? Solo per una mera questione di produttività e di crescita del Pil? La risposta è ampia, nel senso che è necessario accompagnare questa nuova ondata di innovazione tecnologica con la costruzione di un modello di società inclusivo, rispettoso dell’ambiente, in cui macchine ed esseri umani possano collaborare.

Quali sono differenze di fondo tra Industria 4.0 e Industria 5.0?

La società di consulenza globale Frost & Sullivan ha identificato cinque cambiamenti chiave nel passaggio da Industria 4.0 e Industria 5.0: customer experience, iper personalizzazione, supply chain reattiva e distribuita, prodotti interattivi, ritorno della manodopera nelle fabbriche. In particolare la produzione 4.0 è caratterizzata da personalizzazione di massa e prodotti intelligenti, mentre con Industria 5.0 saranno protagonisti la personalizzazione con “tocco umano”, la creatività e i prodotti interattivi. Centrale è anche il concetto di fabbrica: intelligente nel 4.0 (smart factory), cooperativa nel 5.0 (collaborative industry). C’è poi il tema della formazione e dell’organizzazione del lavoro: la componente remota è forte in entrambi i modelli, ma nel 5.0 la presenza umana assume un valore rafforzato. Non va poi trascurato lo scenario energetico, decisamente più orientato ai modelli bioeconomici, alle energie rinnovabili e all’efficienza energetica con Industria 5.0. 

Quali tecnologie sono alla base di Industria 5.0?

Le tecnologie abilitanti sono sostanzialmente le stesse di Industria 4.0 (IoT, Cloud, Big Data, Additive Manufacturing, Realtà Aumentata, Digital Twin, ecc.), sebbene Intelligenza Artificiale, Robotica Collaborativa e interfaccia uomo-macchina caratterizzino maggiormente il modello 5.0. Ma ad avere un ruolo chiave nel passaggio da 4.0 a 5.0 sono soprattutto le cosiddette tecnologie di transizione. In buona parte basate su machine learning e ingegneria del software (sistemi ad agenti cognitivi, web semantico, intelligenza autonoma) e in parte basate sulla convergenza di materie interdisciplinari (evergetica, problem solving, teoria dei giochi, strategie di apprendimento). Queste discipline sono la parte scientificamente più interessante di Industria 5.0 e dovrebbero essere gli acceleratori di questa transizione tecnologica, anche se ora è presto per valutarne le piene potenzialità, soprattutto in un quadro socioeconomico caratterizzato da molte incertezze.

Ci sono applicazioni e scenari di sviluppo che possiamo giù toccare concretamente?

Direi di sì anche se non espressamente o non sempre si parla di Industria 5.0. I casi aziendali dove la robotica collaborativa, le macchine intelligenti, l’efficienza energetica e il ruolo centrale dell’essere umano si fondono in una realtà tangibile, sono anche esempi di Industria 5.0 applicata. Ne parla ad esempio la multinazionale Abb a proposito dei suoi lighthous plant di Frosinone, Dalmine e Santa Palomba. O l’emergente realtà veneta Automationware che ha messo in piedi una piattaforma di robotica collaborativa di assoluta avanguardia per la produzione dei suoi attuatori elettrici. Anche la partnership tra Omron e Oracle per integrare robotica, sistemi cloud e supply chain fornisce un’interessante chiave di lettura sul connubio uomo-macchina. In generale in tutti i casi in cui la diffusione della digitalizzazione e delle macchine intelligenti ridefinisce l’intervento e il valore dell’uomo nei processi di produzione si può parlare di Industria 5.0.

Industria 5.0 può essere una risposta concreta alla gestione di emergenze e crisi globali?

Certamente. In linea generale è da rilevare come Industria 5.0 sia modellata per affermare il paradigma di una società che, facendo leva sulle nuove tecnologie, sia capace di meglio rispondere alle sfide del proprio tempo quali la protezione dell’ambiente e la preservazione del patrimonio naturale, culturale e infrastrutturale. All’Industria 5.0 infatti non basta utilizzare le tecnologie abilitanti già nell’Industria 4.0, bensì è predisposta a utilizzarle nel rispetto delle persone e dell’ambiente. In questo senso è forte il richiamo al “pilastro” della resilienza, ovvero la capacità di reagire ai cambiamenti improvvisi, anche traumatici, senza riportare conseguenze permanenti. La produzione 5.0, ad esempio, dovrà garantire alti livelli di continuità operativa e disaster recovery. Dovrà insomma avere una capacità produttiva adattabile e processi commerciali flessibili, in grado di erogare prodotti e servizi anche in caso di pandemie, catastrofi naturali, tensioni geopolitiche, crisi economiche.